"…il nome del bel fior ch’io sempre invoco…"
(Dante, Paradiso, cant XXII)
Il rosa, ottenuto dall’unione di rosso e bianco, è il colore che prende il nome dall’omonimo fiore, entrambi legati ai diversi significati presenti nelle varie culture. La bellezza, la forma e il delicato profumo della rosa, da sempre hanno significato qualità come dolcezza, sensibilità e grazia: in India, la rosa cosmica Triparasundari veniva utilizzata come valore di riferimento alla bellezza della Madre Divina, mentre nel XIV sec, i sovrani ottomani Osmanlis proibirono l'usanza di lastricare le strade con i petali di questo fiore, poiché esso doveva essere trattato con estremaùo rispetto e dolcezza. Nel Cristianesimo, il rosa è usato nella terza domenica d’Avvento, la domenica della breve sosta nel cammino di penitenza, conosciuta anche con il nome di Gaudete, la domenica di gioia, così come compare nell'introito della Messa:
" Rallegratevi sempre nel Signore:
ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino "
Inoltre, secondo Frédéric Portal la rosa e il color rosa costituirebbero anche un vissuto di rigenerazione per la parentela semantica del latino rosa con "ros", la pioggia, la rugiada. In virtù di questo legame, fin dall’antichità era usanza deporre rose sulle tombe: nella Roma antica, nel mese di maggio si tenevano le Rosalia o festa delle rose, portate sulle tombe degli avi come offerte ai Mani dei defunti, mentre in Svizzera, come scrive A. S. Mercatante, i cimiteri hanno tuttora conservato il nome di roseti. Da segnalare, inoltre, come in passato il sepolcro di Gesù veniva a volte dipinto di un colore "commisto tra il bianco e il rosso" ( San Beda, VII sec).
Oltre a ciò, la rosa è espressione del segreto, delle cose da non rivelare o da trattare con la massima discrezione: i suoi petali, infatti, si raccolgono in un bocciolo centrale che in molte varietà non si schiude mai del tutto, divenendo in tal modo un piccolo e delicato scrigno. Inoltre, la presenza di spine sembrano proteggere come armi la bellezza e la delicatezza del fiore da chi s’avvicina con l’intento di violarla. Per tali ragioni, nel medioevo, in Francia si onoravano con questo fiore la virtù e la castità di alcune fanciulle, le Rosière, e bianca o rosa, la rosa era l’attributo della Santa Vergine, prima che le venisse assegnato il giglio (J. De la Rocheterie):
“Rosa delle rose, Fiore dei fiori,
Donna fra le donne, unica Signora,
Tu luce dei Santi e dei Cieli via ”
(Alfonso X di Castiglia, 1221-1284, Las cantigas de Santa Maria)
Da sempre considerata espressione di eleganza, dolcezza e fascino, la rosa, però, è anche estremamente fragile e di breve durata, esprimendo in tal modo anche la caducità della bellezza e la provvisorietà della vita: Breve rigoglio la rosa: se passi di lungo e la cerchi, non trovi più la rosa, trovi spine" (Metrodoro, Antologia Palatina, IV sec a. C.). All’immagine omerica delle foglie che si staccano dai rami degli alberi, dunque, nel corso dei secoli si viene a sostituire quella più delicata dei petali di rosa che lasciano la corolla del fiore, suggerendo con maggiore efficacia l’idea della fragilità umana;
“ Cogliam la rosa in su 'l mattino adorno
di questo dí, che tosto il seren perde “
(Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata)
Opposti ai concetti di precarietà e caducità, invece, sembrano apparire i significati che questo colore assume nei territori dell’Estremo Oriente. La rosa ibisco (Hibiscus syriacus), ad esempio, è il fiore nazionale della Corea del Sud; particolarmente tenace, capace di resistere sia alla malattie che agli insetti, essa è chiamata mugunghwa, la cui radice mugun sta per immortalità. Al contempo, in Cina, le rose autoctone (Rosa chinensis) possiedono una tale capacità di rifioritura ed acquisiscono una tale intensità di colorazione, che il colore rosa diviene espressione della gioventù (H. Biederman). Come di sovente accade, è la poesia a sintetizzare in poche righe i complessi ed ambivalenti significati della vita che ci circonda: “Un unico giorno abbraccia la vita della rosa, in un istante essa unisce gioventù e vecchiaia” ( Decimo Magno Ausonio, Idilli, sec IV ).
Il Dott. Luca Coladarci è Psicologo-Psicoterapeuta a Roma, zona San Giovanni, Re di Roma, Pigneto, Tuscolana, Piazza Lodi. E' esperto di Attachi di Pancio, Ansia, Depressione, Disturbi Sessuali Maschili e Femminili, Disturbi Alimentari (Anoressia e Bulimia), Stress, Relazioni, Amore e Vita di Coppia, Dipendenza Affettiva, Cefalee, Dipendenza Da Gioco D'Azzardo, Elaborazione Del Lutto, Bullismo, Disagi Relazionali, Mobbing e di tutte quelle situazioni esistenziali che tendono a bloccare il libero fluire della vita.
" … perchè la mossa lor non fosse bigia, / ma chiara a tutta gente..."
( A. Pucci, Centiloquio, sec XIII )
Il colore grigio, composto in parti uguali di nero e bianco, è principalmente associato alla cenere, di quando, cioè, il rossore e la forza del fuoco esaurisce la propria spinta energetica e vitale, lasciando dietro di sé plumbei residui: “ Abbandonati i barbagli guizzanti della fiamma e la vivacità del rosso, questo colore ci conduce nella direzione dell’oscuramento e della devitalizzazione, ci introduce nelle spente regioni del grigiore e dell’anonimato” (C. Widmann, 2000). Pertanto, dal punto di vista dei significati che assume, la cenere possiede valenze che riconducono ad un tema focale: quello di residuo di un flusso vitale ormai estinto che fa apparire questo colore come espressione della devitalizzazione e del ritiro di investimenti energetici. Ad esempio, nel cristianesimo la cenere significava la mortificazione della pulsionalità e la compunzione in cui si spegneva ogni passione e ogni desiderio: nei secoli passati, ciò avveniva in cinere et cilicio, che consisteva nello spogliarsi dei propri abiti per indossare una veste di cilicio cosparsa di cenere. Come si vede, il grigio è un cromatismo di uno stato d’animo in cui non si agita alcuna vivacità emozionale, una sorta di “immobilità desolata” (Kandinsky), un colore povero di vitalità ed energia che viene paragonato da Max Lüscher alla "terra di nessuno". Anche nelle favole si evidenziano i significati della cenere quale dimensione esistenziale in cui la soggettività è repressa, coartata, impossibilitata a dispiegarsi: prigioniera di una Grande Madre che ne soffoca l’individualità, appare infatti Cenerentola
" … Per giunta le sorelle gliene facevano di tutti i colori, la schernivano e le versavano ceci e lenticchie nella cenere, sicché‚ doveva raccoglierli a uno a uno. La sera, quando era stanca, non andava a letto, ma doveva coricarsi nella cenere accanto al focolare. E siccome era sempre sporca e impolverata, la chiamavano Cenerentola."
o la Griselda (grigia fanciulla) delle leggende medievali europee, donna plebea che pazientemente affrontava le inspeigabili e crudeli vessazioni da parte del marito:
" … s’allestirono le mense,
e l’ottima Griselda disposta ogni cosa
senza un lamento al mondo,
assistè ai convitati in contegno…"
(Boccaccio, Decameron )
Anche nel grigiore di questo colore, però, non mancano significati dalle valenze positive, poiché il carattere freddo del grigio può anche possedere vissuti psicologici vicini alla neutralità, all’oggettività o all’ impersonalità combinata alla conoscenza. Negli antichi testi di Chuang-tzu (filosofo e mistico cinese), ad esempio, si paragonava la cenere al cuore del saggio, volendo significare in questo modo come in esso fosse estinta ogni attività mentale, ogni pulsione istintuale e turbolenza emotiva:
" Che il vostro corpo sia simile a un ramo di albero secco!
Che il vostro spirito sia simile alla cenere spenta!
Così non sarete visitato né dall'infelicità né dalla felicità "
(Chuang-tzu, IV a.C.)
In India, inoltre, si cospargono di cenere i sadhù shivaiti, a imitazione di Shiva il quale, abbandonati gli stimoli della vita ordinaria, si era ritirato nel mondo ascetico. E bigio, non a caso, era il saio dei primi monaci (dal greco monachos, persona solitaria), che solo molto più tardi divenne di colore marrone, passando in tal modo dai significati della cenere a quelli della terra. Tra l'altro, ancora nel XVII° secolo l’abito di alcuni frati cappuccini era grigio, come dimostra padre Giuseppe, l’oscura ma influente eminenza grigia del Cardinale Richelieu. Per finire, il grigio può esprimere anche la colorazione dei capelli brizzolati, della vecchiaia, di chi ha la saggezza dettata dall'esperienza di una lunga vita alle spalle. Tale colore, infatti, presso gli ebrei veniva chiamato seybah, con il significato tanto di capelli grigi quanto di vecchiaia, un periodo esistenziale questo, percepito con profondo rispetto e devozione:
" La gloria dei giovani è la loro resistenza;
lo splendore di un vecchio è la sua testa grigia. "
(Sacra Bibbia, Libri della Sapienza, Proverbi, 20:29)
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